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Pay-back farmaceutico: variazione IVA

La variazione in diminuzione dell’IVA può essere effettuata emettendo un apposito documento contabile da annotare nei registri IVA (Agenzia Entrate – risposta 29 agosto 2022 n. 440).

Il pay-back è uno degli strumenti utilizzati nel nostro ordinamento per il governo della spesa farmaceutica, volto ad adeguare la spesa per l’erogazione di medicinali da parte del Servizio Sanitario Nazionale al livello di risorse finanziarie disponibili.
Tale strumento si caratterizza per la restituzione da parte delle aziende di una quota dei corrispettivi percepiti per le cessioni effettuate.
A riguardo, l’Agenzia delle Entrate ha già avuto modo di chiarire che il pay-back, nelle sue varie articolazioni, costituisce una forma di revisione ex lege (attuata tramite l’apposita determinazione dell’AIFA) del prezzo dei beni ceduti, riconducibile alle ipotesi di cui all’art. 26, co. 2, D.P.R. n. 633/1972 ed in ragione della quale può essere emessa una nota di variazione in diminuzione. Emessa tempestivamente detta nota, entro il termine di presentazione ordinario della dichiarazione annuale IVA relativa all’anno in cui si sono verificati i presupposti per operare la variazione in diminuzione, ossia, nel caso di specie, la determinazione AIFA di riferimento, l’imposta detratta confluirà nella relativa liquidazione periodica o, al più tardi, nella dichiarazione annuale IVA di riferimento.
A titolo esemplificativo, se il presupposto per operare la variazione in diminuzione si verifica nel periodo d’imposta 2021, la nota di variazione può essere emessa, al più tardi, entro il termine di presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno 2021, vale a dire entro il 30 aprile 2022. Se la nota è emessa nel periodo dal 1° gennaio al 30 aprile 2022, la detrazione può essere operata nell’ambito della liquidazione periodica IVA relativa al mese o trimestre in cui la nota viene emessa, ovvero direttamente in sede di dichiarazione annuale relativa all’anno 2022 (da presentare entro il 30 aprile 2023).
In relazione al caso di specie, deve escludersi l’emissione di note di variazione in diminuzione connesse a riversamenti che si riferiscono a determinazioni AIFA, con relativa pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, anteriori al 1° gennaio 2022.

Ciò fermo restando che laddove intervenga una sentenza della competente Autorità giudiziaria al cui vaglio è stata posta, direttamente o indirettamente, la procedura di determinazione AIFA ritenuta illegittima al fine di ottenere l’annullamento/modifica delle statuizioni ivi contenute, e quindi, in conseguenza, la rideterminazione dell’ammontare imponibile delle operazioni originarie, i termini per l’emissione delle note di variazione decorreranno dalla stessa.

Deve inoltre evidenziarsi che l’emissione delle note potrà essere effettuata con modalità che tengano conto della peculiare situazione di fatto esistente nell’ambito in esame, in conformità alle semplificazioni disposte dal legislatore nei suoi ultimi interventi.

Emergenza Covid-19: presentazione istanze contributo a fondo perduto gestori impianti sportivi

Le richieste di contributo a fondo perduto per gli impianti sportivi devono essere inviate esclusivamente entro il prossimo 31 agosto al proprio Organismo Sportivo affiliante (FSN, DSA, EPS) e non al Dipartimento per lo sport (Presidenza del Consiglio dei Ministri – Decreto 30 giugno 2022 e Comunicato 26 agosto 2022).

I soggetti che possono accedere al contributo a fondo perduto di un importo complessivo nel limite massimo di spesa di euro 53.000.000,00 in favore dei gestori di impianti sportivi,sono le Associazioni e le Società Sportive che al 2 marzo 2022 risultavano iscritte nel Registro Nazionale delle Associazioni e Società Sportive dilettantistiche, e che siano al 1° agosto 2022 affiliate alle Federazioni Sportive, alle Discipline Sportive o agli Enti di Promozione Sportiva e che abbiano per oggetto sociale anche la gestione di impianti sportivi.
Si ricorda che i beneficiari dovranno presentare le domande agli organismi sportivi affilianti (Federazioni, Enti di promozione sportiva o Discipline sportive associate), complete di tutta la documentazione a supporto, entro il 31 agosto 2022.
Non verranno perciò prese in considerazione le richieste di contributo avanzate direttamente al Dipartimento da parte di singole associazioni e/o società sportive.
A loro volta, gli organismi affilianti dovranno presentare al Dipartimento per lo sport il prospetto delle domande pervenute e istruite positivamente, mediante compilazione del format allegato, corredato di tutta la documentazione a supporto.

Staking di criptovalute: compilazione del modello Redditi

I redditi derivanti dall’attività di staking di criptovalute devono essere assoggettate a ritenuta a titolo d’acconto da parte della Società e indicate dal contribuente nella sezione I-A “Redditi di capitale” del Quadro RL del Modello Redditi (Agenzia Entrate – risposta 26 agosto 2022 n. 437).

L’Agenzia delle Entrate ha fornito un nuovo parere sul trattamento fiscale applicabile ai redditi derivanti dalla detenzione di cripto-valute a rettifica della risposta del 24 agosto 2022 n. 433.

Per quanto concerne, la remunerazione derivante dalla attività di “staking”, ovvero del compenso in cripto-valute corrisposto a fronte del “vincolo di disponibilità” delle stesse, cioè di un vincolo di non utilizzo per un certo periodo di tempo, è applicabile quanto previsto dall’art. 44, co. 1, lett. h), Tuir.

Tale norma dispone che costituiscono redditi di capitale gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego del capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto.

Pertanto, sono inquadrabili tra i redditi di capitale sulla base di tale fattispecie impositiva non soltanto i redditi che siano determinati o predeterminabili, ma anche quelli variabili in quanto la relativa misura non sia collegata a parametri prefissati.

Come chiarito nella circolare 24 giugno 1998, n. 165/E per la configurabilità di un reddito di capitale è sufficiente l’esistenza di un qualunque rapporto attraverso il quale venga posto in essere un impiego di capitale e quindi anche rapporti che non siano a prestazioni corrispettive ovvero nei quali il nesso di corrispettività non intercorra tra la concessione in godimento del capitale ed il reddito conseguito.

Conseguentemente, possono essere attratti ad imposizione sulla base di tale disposizione non soltanto quei proventi che sono giuridicamente qualificabili come frutti civili ai sensi dell’art. 820 c.c. e cioè quei proventi che si conseguono come corrispettivo del godimento che altri abbia di un capitale, ma anche tutti quei proventi che trovano fonte in un rapporto che presenti come funzione obiettiva quella di consentire un impiego del capitale.

Detto questo, le remunerazioni in cripto-valuta percepite dalle persone fisiche, al di fuori dell’attività d’impresa, per l’attività di staking sono soggette ad imposizione del cit. art. 44 e se accreditate nel wallet da una Società italiana, quest’ultima è tenuta all’applicazione della ritenuta nella misura del 26% ai sensi dell’art. 26, co. 5, D.P.R. n. 600/1973.

Nel caso di specie, tali remunerazioni devono essere assoggettate a ritenuta a titolo d’acconto da parte della Società e indicate dal contribuente nella Sezione I-A “Redditi di capitale” del Quadro RL del Modello Redditi.

Con riferimento agli obblighi di monitoraggio fiscale, l’art. 4, D.L. n. 167/1990 prevede che le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed equiparate residenti in Italia che, nel periodo d’imposta, detengono investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, devono indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi.

Nella circolare 23 dicembre 2013, n. 38/E è stato precisato che il medesimo obbligo sussiste anche per le attività finanziarie estere detenute in Italia al di fuori del circuito degli intermediari residenti.

Nel caso in esame, tenuto conto che il contribuente detiene il wallet presso una Società italiana non è tenuto agli obblighi di monitoraggio fiscale, né tanto meno al pagamento dell’IVAFE.

Contributi o liberalità a favore della ricerca scientifica deducibili dal reddito delle società

Individuazione delle fondazioni e associazioni aventi per oggetto statutario lo svolgimento o la promozione di attività di ricerca scientifica alle quali si rendono applicabili le disposizioni sulla deducibilità dal reddito. (PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – Decreto 07 luglio 2022)

Sono deducibili dal reddito del soggetto erogante (art. 1, comma 353 della legge 23 dicembre 2005, n. 266) i fondi trasferiti dalle società e dagli altri soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società, a titolo di contributo o liberalità, in favore delle fondazioni e associazioni regolarmente riconosciute, a norma del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361, aventi per oggetto statutario lo svolgimento o la promozione di attività di ricerca scientifica, individuate, ai soli fini fiscali in apposito allegato, che forma parte integrante e sostanziale del decreto in oggetto e può essere soggetto a revisione annuale.

Rimborsi accisa sul gas naturale e sull’energia elettrica:nuovo indirizzo applicativo

In materia di rimborso del credito ex art. 14, commi 2 e 3, del D. Lgs. n. 504/1995 originato dal meccanismo di applicazione dell’accisa sul gas naturale e sull’energia elettrica ha trovato consolidamento negli ultimi anni un orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione teso a superare le conseguenze derivanti dalla rigidità del termine decadenziale biennale ai fini dell’utilizzo del credito maturato per eccedenze dei versamenti in acconto (Agenzia delle dogane e dei monopoli – Nota 17 agosto 2022, n. 379481/RU).

A seguito di diverse pronunce rese a partire dal 2019 si è venuto affermando l’indirizzo interpretativo secondo il quale, nei due suddetti settori d’imposta, alla chiusura annuale di ciascun periodo oggetto di dichiarazione si determina, per quanto qui interessa, un nuovo saldo creditorio, che va a costituire un nuovo credito rispetto a quelli precedentemente maturati e che si protrae fino all’esaurimento dello stesso o fino alla definizione del rapporto tributario.
Valutata l’opportunità di prestare adesione al predetto orientamento, si evidenzia quindi che non vi è decadenza biennale del rimborso di accisa se:
– il rapporto tributario è in corso;
– il credito è riportato nelle successive dichiarazioni regolarmente presentate;
– il credito medesimo viene detratto dai successivi versamenti di acconto.
Rilevato come l’uso del credito in detrazione dai successivi versamenti in acconto costituisce quindi la via prioritaria di utilizzo del credito medesimo, sempre in linea con il richiamato indirizzo giurisprudenziale, occorre sottolineare che il rimborso dell’intero credito potrebbe aver luogo solamente in presenza della cessazione dell’attività dell’operatore della chiusura del rapporto tributario, a decorrere dal quale può essere richiesto in denaro entro due anni dalla presentazione dell’ultima dichiarazione di consumo.
Al di fuori delle vicende oggetto di vaglio giudiziario, i medesimi effetti conseguenti alla chiusura integrale del rapporto tributario sembrano configurarsi anche nel caso in cui il soggetto obbligato venditore cessi la propria attività di fornitura al consumo nel territorio di uno degli autonomi ambiti territoriali individuati all’art. 2, comma 2, della DD prot. n. 264785/RU del 23 luglio 2021.
La conclusione delle forniture di prodotto nel territorio di uno dei distinti ambiti, quantunque possa proseguire l’attività in altro/i ambito/i territoriale/i, comporta di fatto l’impossibilità di recuperare pro quota il credito maturato mediante detrazione delle eccedenze dalle rate successive.
Anche in questa la richiesta di rimborso deve essere presentata entro il termine biennale di decadenza decorrente dalla dichiarazione di consumo contenente gli elementi per la determinazione del credito d’imposta derivante dalla cessazione delle forniture nell’ambito territoriale interessato.

Via libera per la compensazione orizzontale

Il contribuente può sempre compensare i crediti di imposta agevolativi derivanti dalla trasformazione delle detrazioni fiscali in credito d’imposta, prevista dal DL Rilancio, con tutte le entrate, il cui versamento per il tramite del Modello F24 è previsto da disposizioni normative primarie o da decreti ministeriali, a meno che la compensazione non venga espressamente preclusa (Agenzia Entrate – risposta 25 agosto 2022 n. 435).

L’art. 121 del DL Rilancio (D.L. n. 34/2020) stabilisce che i crediti d’imposta relativi ad interventi edilizi sono utilizzati in compensazione ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. n. 241/1997, sulla base delle rate residue di detrazione non fruite. Il credito d’imposta è usufruito con la stessa ripartizione in quote annuali con la quale sarebbe stata utilizzata la detrazione. La quota di credito d’imposta non utilizzata nell’anno non può essere usufruita negli anni successivi, e non può essere richiesta a rimborso.

Il richiamato art. 17 disciplina i versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche.

La norma, dunque, nel disciplinare la cd. compensazione orizzontale, consente di utilizzare il modello di versamento unitario (F24) al fine di assolvere, con un’unica operazione, il pagamento delle somme, anche mediante compensazione con eventuali crediti relativi alle entrate sempre ivi indicate.

Detto questo, in relazione al caso di specie, è ammessa la compensazione dei crediti di imposta agevolativi derivanti dagli interventi edilizi elencati all’art. 121, D.L. n. 34/2020, con tutte le entrate, il cui versamento per il tramite del Modello F24 è previsto, direttamente o indirettamente, da disposizioni normative primarie o da decreti ministeriali.

Staking di criptovalute: chiarimenti dal Fisco

I redditi derivanti dall’attività di staking di criptovalute sono soggetti ad imposizione e qualora accreditati nel wallet da una società italiana, quest’ultima è tenuta all’applicazione della ritenuta del 26% (Agenzia delle Entrate – risposta 24 agosto 2022, n. 433).

Per quanto concerne, la remunerazione derivante dalla attività di “staking”, ovvero del compenso in cripto-valute corrisposto a fronte del vincolo di disponibilità’ delle stesse, cioè di un vincolo di non utilizzo per un certo periodo di tempo, è applicabile quanto previsto dall’art. 44, co. 1, lett. h), del Tuir.
Tale norma dispone che costituiscono redditi di capitale gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego del capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto.
Si tratta di una disposizione che ha una funzione di chiusura della categoria dei redditi di capitale, introdotta dal D.Lgs. n. 461/1997, al fine di ricondurre a tale categoria reddituale tutti i redditi derivanti dall’impiego del capitale.
Pertanto, sono inquadrabili tra i redditi di capitale sulla base di tale fattispecie impositiva non soltanto i redditi che siano determinati o predeterminabili, ma anche quelli variabili in quanto la relativa misura non sia collegata a parametri prefissati.
Come chiarito nella circolare 24 giugno 1998, n. 165/E per la configurabilità di un reddito di capitale è sufficiente l’esistenza di un qualunque rapporto attraverso il quale venga posto in essere un impiego di capitale e quindi anche rapporti che non siano a prestazioni corrispettive ovvero nei quali il nesso di corrispettività non intercorra tra la concessione in godimento del capitale ed il reddito conseguito.
Conseguentemente, possono essere attratti ad imposizione sulla base di tale disposizione non soltanto quei proventi che sono giuridicamente qualificabili come frutti civili ai sensi dell’art. 820 c.c. e cioè quei proventi che si conseguono come corrispettivo del godimento che altri abbia di un capitale, ma anche tutti quei proventi che trovano fonte in un rapporto che presenti come funzione obiettiva quella di consentire un impiego del capitale.
Detto questo, le remunerazioni in cripto-valuta percepite dalle persone fisiche, al di fuori dell’attività d’impresa, per l’attività di staking sono soggette ad imposizione ai sensi della lett. h) del co. 1 dell’art. 44 del Tuir e, pertanto, se accreditate nel wallet da una Società italiana, quest’ultima è tenuta all’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 26% ai sensi dell’art. 26, co. 5, D.P.R. n. 600/1973.

Conseguentemente, tali remunerazioni non dovranno essere indicate nel Modello Redditi della persona fisica in quanto la ritenuta è applicata a titolo d’imposta.

Agevolato l’acquisto di immobili destinati agli occupanti di aree baraccate

Fornite le modalità di applicazione del regime agevolato di cui all’art. 32, co. 2, D.P.R. n. 601/1973 agli atti di acquisto degli immobili da destinare agli occupanti delle aree baraccate (Agenzia Entrate – risposta 25 agosto 2022, n. 434).

L’art. 32, co. 2, D.P.R. n. 601/1973 (rubricato “Edilizia economica e popolare”), dispone che “gli atti di trasferimento della proprietà delle aree previste al titolo III della L. n. 865/1971 e gli atti di concessione del diritto di superficie sulle aree stesse sono soggetti all’imposta di registro in misura fissa e sono esenti dalle imposte ipotecarie e catastali. Le stesse agevolazioni si applicano agli atti di cessione a titolo gratuito delle aree a favore dei comuni o loro consorzi nonché agli atti e contratti relativi all’attuazione dei programmi pubblici di edilizia residenziale di cui al titolo IV della medesima legge L’edilizia residenziale oggetto dei programmi pubblici è quella c.d. ” sovvenzionata”, ossia realizzata dai soggetti previsti nella legge n. 865 del 1971 direttamente o indirettamente con fondi pubblici, per la creazione a costi ridotti di abitazioni da assegnare, a condizioni economiche particolarmente favorevoli, a cittadini con redditi bassi o che si trovino in condizioni economiche disagiate.
È invece esclusa dall’agevolazione di cui all’art. 32:
– l’edilizia “convenzionata”, ovvero quella diretta a far acquisire la proprietà della casa, per specifiche categorie di persone, attraverso prezzi calmierati in base a convenzioni stipulate con i comuni;
– l’edilizia “agevolata”, finalizzata alla costruzione di alloggi da destinare a prima abitazione, realizzata da privati con finanziamenti messi a disposizione dallo Stato o dalle Regioni, a condizioni di particolare favore, e con contributi in conto interessi e a fondo perduto.

In considerazione di quanto premesso, dato anche il tenore del cit. art. 32 che fa riferimento ad “atti e contratti relativi all’attuazione dei programmi pubblici di edilizia residenziale”, devono ritenersi inclusi nel perimetro agevolativo in esame anche gli atti di acquisto, da privati da parte dell’Agenzia, di immobili da destinare ad alloggi finalizzati alla realizzazione di un programma di edilizia sovvenzionata.

L’operatore UE in regime di piccole imprese esclude l’acquisto intracomunitario

Gli acquisti di beni effettuati da un soggetto Iva italiano in regime forfettario presso un operatore di un altro Stato membro sottoposto al regime delle piccole imprese non si considerano acquisti intracomunitari, in quanto si tratta di operazioni rilevanti ai fini Iva nello Stato membro di origine (Agenzia Entrate – risposta 23 agosto 2022 n. 431).

Ai sensi dell’art. 38, co. 5, lett. d), D.L. n. 331/1993, conv. dalla L. n. 427/1993 “non costituiscono acquisti intracomunitari:… d) gli acquisti di beni se il cedente beneficia nel proprio Stato membro dell’esonero disposto per le piccole imprese”.
Il regime speciale delle piccole imprese, concesso dalla Direttiva 2006/112 agli Stati membri entro determinate soglie di esonero, prevede modalità semplificate di imposizione e riscossione dell’imposta per le operazioni attive da esse effettuate. Pertanto, non sono considerate cessioni intracomunitarie le cessioni di beni da esse effettuate nei confronti di altri operatori stabiliti in altro Stato membro.
Allo stesso modo, ai sensi del comma 5, lettera d), del citato art. 38, non sono considerati acquisti intracomunitari le operazioni riguardanti i beni acquistati da qualsiasi operatore italiano, qualora il proprio cedente benefici nel suo paese di tale regime.
Come chiarito dalla circolare n. 26/E del 21 giugno 2010, nel caso di un soggetto passivo d’imposta italiano che effettua acquisti di beni presso un operatore di altro Stato membro sottoposto al regime delle piccole imprese, il soggetto passivo italiano non effettua l’acquisto intracomunitario, in quanto si deve supporre che trattasi di operazione rilevante ai fini IVA nello Stato membro di origine.

Rimborso Iva e cessione d’azienda: chiarimenti dal Fisco

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta 24 agosto 2022, n. 432 ha fornito chiarimenti sul soggetto legittimato a presentare la richiesta di rimborso Iva in ipotesi di cessione d’azienda.

La cessione di un ramo d’azienda è un’operazione straordinaria nella quale si determina una situazione di continuità tra i contribuenti interessati.
Al riguardo, l’art. 16, co. 11, lett. a), L. n. 537/1993, prevista per le operazioni di scissione ed applicabile anche per le cessione di ramo d’azienda secondo quanto chiarito dal Fisco, stabilisce che gli obblighi e i diritti derivanti dall’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, relativi alle operazioni realizzate tramite le aziende o i complessi aziendali trasferiti, sono assunti dalle società beneficiarie del trasferimento.
Ne consegue che, nelle ipotesi di cessione d’azienda o di uno o più rami aziendali, che abbiano comportato l’estinzione del soggetto dante causa, il cessionario deve assolvere tutti gli adempimenti, agli effetti dell’IVA, successivi alla data di cessione.

Con tale successione, il cedente può presentare la domanda di rimborso dell’IVA non dovuta, accertata definitivamente, entro due anni dalla restituzione, in via civilistica, al cessionario e/o committente. In particolare, per motivi di cautela fiscale e per evitare un indebito arricchimento del cedente/prestatore, il rimborso dell’IVA indebitamente versata è strettamente collegato alla restituzione al cessionario/committente di quanto erroneamente addebitato ed incassato a titolo di rivalsa. I due anni entro i quali presentare la richiesta di rimborso dell’IVA non dovuta decorrono, infatti, dal momento in cui avviene la restituzione al cessionario/committente della medesima somma da lui versata per effetto di

accertamento definitivo.